Esiste uno strettissimo rapporto tra l’artista e “l’essere” inteso come capacità percettiva del nostro corpo, la cui pelle rappresenta il confine tra il dentro e il fuori.
È la pelle a ricevere frequenze e vibrazioni e a comunicare sensazioni che si trasformano in emozioni; una sottile membrana che si modifica metamorficamente al passaggio del tempo e che lascia su di sè i segni dell’esperienza vissuta.
È sul vissuto che l’artista indaga, riflette, senza edulcorarne il dolore e la sofferenza ma, anzi, sottolineando che quella nocicezione, spesso, ne amplifica il suo valore maieutico.
Il profondo rapporto con l’interiorità, che spinge l’artista a scavare fino a scarnificare i propri corpi, cela un severo monito nei confronti di quella spasmodica ricerca della bellezza esteriore, che alimenta la vanità e l’atavica fame di consenso, subdoli nemici della libertà.
La produzione scultorea dell’artista svela una dote compositiva e manuale capace di plasmare e trasformare la materia, concedendo alle sue forme di prendere le distanze da una obnubilata visione della realtà. L’obiettivo è portare l’osservatore con innocente sincerità a “vedere”, senza filtri, i segni provocati dalle esperienze della vita, e riflettere sul valore terapeutico e risarcitivo che il dolore può generare, se vissuto come occasione e non come sconfitta.
Le forme umane della Morzetti, sono un ponte metaforico tra l’io/vissuto più profondo e la forza evocativa di una bellezza che non mira ad avere compiacimento, ma a stimolare riflessioni e suggestioni, amplificate da costanti riferimenti mitologici. Sono simboli e immagini che emergono dal nulla, tramite una materia consistente che nasce informe e, grazie al suo potere rigenerativo, si plasma e diventa forma. Questi appaiono come silenziosi testimoni di una vita vissuta e si proiettano nel presente con decisione e immacolata arroganza. Sono in ascolto, ci guardano e non sono più vittime, ma luminose rappresentazioni di un veleno che si è trasformato in medicina.
Così come la duplicazione dei volti che racconta il rapporto dicotomico tra Kairos e Aion: la ricerca del “momento opportuno” per manifestarsi e affermare la propria identità e l’eternità come ambizione.
La minuzia dei particolari, l’uso di elementi organici e la maniacale capacità di modellazione della materia, generano nelle opere una armonia tra lo stile che esprimono e il patrimonio culturale e morale da cui prendono vita, retaggio di una radicata tradizione scultorea propria del territorio in cui vive e lavora l’artista.
Le sue sculture emanano luce, si librano nell’aria e, con il candore del bianco, si raccontano senza nascondere il peso dell’esperienza terrena; sono angeli in terra che hanno combattuto e sofferto e non si piegano all’oblio.
Come dice l’artista “La scultura è un attività di confine, tra l’io e la metafora e ha il potere di far emergere energie nascoste aggirando le barriere coscienti”. Per questo il suo lavoro si basa su un continuo confronto tra linguaggi semantici diversi, quello dell’io e quello della comunicazione che, senza mai sovrapporsi, trovano la strada per connettersi e raccontare.
L’uso della fiamma deforma, distorce, plasma e in un divenire ibridante lascia spazio a quel “dentro” che trasfigura l’immagine e scopre nervature, connessioni, sinapsi che si intrecciano alterando la neutralità del colore bianco.
Il colore per la Morzetti, non è semplicemente una manifestazione fisica della luce che l’osservatore percepisce passivamente dall’esterno, ma è anche e soprattutto una elaborazione dell’occhio e quindi della mente umana. Una visione goethiana che porta l’artista a scegliere il bianco, in quanto colore della vita e della rinascita (per la cultura occidentale), ma anche colore della morte (per la cultura orientale). Un colore che in sé rinchiude tutti i colori e che grazie alla sua neutralità, rimarca con forza il rapporto tra chiaro e scuro, tra luce ed ombra, caratteristica propria dell’arte sculturea del periodo barocco.
Marco Giammetta
There is a very close relationship between the artist and “being” understood as the perceptive capacity of our body, whose skin represents the border between inside and outside.
It is the skin that receives frequencies and vibrations and communicates sensations that transform into emotions; a thin membrane that changes metamorphically with the passage of time and leaves behind the signs of lived experience.
It is on the “experience” that the artist investigates and reflects, without softening the pain and suffering but, on the contrary, underlining its educational value.
The profound relationship with interiority, which pushes the artist to dig to the point of stripping his own bodies, conceals a severe warning against that frantic search for external beauty, which fuels vanity and the atavistic hunger for consensus, subtle enemies of freedom.
The artist’s sculptural work reveals a compositional and manual talent capable of shaping and transforming matter, allowing his forms to distance themselves from a clouded vision of reality. The objective is to lead the observer with innocent sincerity to “see”, without filters, the signs caused by life experiences, and to reflect on the therapeutic and compensatory value that pain can generate, if experienced as an opportunity and not as a defeat.
Morzetti’s human forms are a metaphorical bridge between the deepest self/experience and the evocative force of a beauty that does not aim to please, but to stimulate reflections and suggestions, amplified by constant mythological references. They are symbols and images that emerge from nothing, through a consistent matter that is born shapeless and, thanks to its regenerative power, is shaped and becomes shape. These appear as silent witnesses of a life lived and project themselves into the present with decision and immaculate arrogance. They are listening, they look at us and they are no longer victims, but luminous representations of a poison that has been transformed into medicine.
As well as the duplication of faces that tells of the dichotomous relationship between Kairos and Aion: the search for the “opportune moment” to manifest and affirm one’s identity and eternity as an ambition.
The meticulousness of the details, the use of organic elements and the obsessive ability to model the material, generate in the works a harmony between the style they express and the cultural and moral heritage from which they come to life, a legacy of a deep-rooted sculptural tradition typical of the territory where the artist lives and works.
His sculptures emanate light, they hover in the air and, with the candor of white, they tell their story without hiding the weight of the earthly experience; they are angels on earth who have fought and suffered and do not bow to oblivion.
As the artist says, “Sculpture is a border activity, between the ego and the metaphor and has the power to bring out hidden energies by bypassing conscious barriers.” For this reason his work is based on a continuous comparison between different semantic languages, that of the ego and that of communication which, without ever overlapping, find the way to connect and tell.
The use of the flame deforms, distorts, shapes and in a hybridizing process leaves room for that “inside” that transfigures the image and discovers ribs, connections, synapses that intertwine, altering the neutrality of the white color.
For Morzetti, color is not simply a physical manifestation of the light that the observer passively perceives from the outside, but is also and above all an elaboration of the eye and therefore of the human mind. A Goethean vision that leads the artist to choose white, as the color of life and rebirth (for Western culture), but also the color of death (for Eastern culture). A color that contains all colors within itself and which, thanks to its neutrality, strongly highlights the relationship between light and dark, between light and shadow, a characteristic of the sculptural art of the Baroque period.
Marco Giammetta